Con un paese in stallo come mai in precedenza, si delinea una situazione di difficoltà sin dai primi commenti. Jean-Luc Mélenchon: “Macron ci dia il premier o se ne vada”. Il premier Attal annuncia le dimissioni. Violenti scontri a Parigi e Rennes. Le Pen: “La nostra vittoria è solo rimandata”. Il presidente Macron invita alla prudenza riguardo il nuovo governo. Affluenza record. Glucksmann (sinistra moderata): “Assemblea divisa, comportiamoci da adulti”

Dal voto dei francesi si desume una sola verità e cioè che nessuno dei contendenti andrà al governo facilmente. Neppure Mélenchon che è quello che ha preso più voti. Ma con altrettanta chiarezza il voto dice che Marie Le Pen è la grande sconfitta e che l’azzardo delle elezioni anticipate volute a sorpresa da Emmanuel Macron ha ottenuto il risultato sperato, vale a dire impedire che l’estrema destra populista, uscita vittoriosa alle europee, potesse prendere la guida del Paese. Non solo, Macron di fatto da perdente dichiarato è diventato in realtà l’ago della bilancia. Ma andiamo con ordine analizzando i dati in nostro possesso al momento in cui scriviamo.

Come dicevamo nessuno dei tre principali blocchi politici ha ottenuto la maggioranza assoluta. Ma il colpo di scena è chiaro sin da ora. Secondo nuovi exit poll diffusi dall’istituto Ifop per i media francesi, il Nuovo Fronte Popolare, che raggruppa i principali partiti della gauche francese, ottiene fra i 187 e i 198 seggi all’Assemblea Nazionale. Al secondo posto, la maggioranza uscente di Ensemble, che potrebbe conservare fra i 161 e i 169 deputati. Il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella, dato a lungo per vincente di questo ballottaggio, conterà fra i 143 e i 135 seggi, una cinquantina in più rispetto alla precedente legislatura. Stabili i Républicains nonostante l’uscita del presidente Eric Ciotti, che si è accordato con il Rassemblement National: 63 seggi, contro 62 nella Camera uscente.

La leader dell’estrema destra, Marine Le Pen, ha dichiarato che “la marea cresce e la vittoria è solo rimandata”, sottolineando così che il suo dato complessivo rimane comunque il migliore di sempre ma tacendo sulla mancata vittoria che invece doveva essere il suo lascia passare per le prossime presidenziali. Nel frattempo, Jean-Luc Mélenchon, leader della France Insoumise (LFI), tanto per mettere subito in chiaro le cose ha esordito criticando il presidente Macron: “Deve andarsene o nominare un primo ministro tra le nostre fila”. Se questi dati fossero confermati, come ora dopo ora appare sempre più certo, il risultato ribalterebbe completamente gli esiti del primo turno. Macron dal canto invitando alla prudenza resta in attesa dei numeri definitiva mentre il Premier Attal, in assenza di una maggioranza, ha già annunciato le sue dimissioni. L’esponente della sinistra moderata Glucksmann invece invita al realismo: “Assemblea divisa, comportiamoci da adulti”.

A far capire quanto divisa e lacerata sia la Francia che esce da queste elezioni arrivano i primi disordini. Poche ore dopo l’arrivo dei primi risultati si sono registrati violenti scontri tra manifestanti e forze dell’ordine in diverse città, da Parigi a Rennes. A Place de la République, la polizia ha caricato i manifestanti. Secondo i giornalisti di Le Figaro, le prime cariche sono avvenute a est di Place de la République contro gruppi di individui incappucciati. Arredi urbani sono stati dati alle fiamme e sono stati lanciati fuochi d’artificio. Gli scontri sono in corso all’inizio di Avenue de la République, Boulevard Voltaire e Boulevard du Temple. E temiamo che questo sia solo l’inizio di una lunga fase di contestazioni e scontri di piazza.

Insomma, questo voto da un lato evita alla Francia la presa di potere da parte di forze di estrema destra, dall’altro le regala una fase di grande instabilità e incertezza a cui i cugini d’oltralpe non sono abituati. Loro, che di rivoluzioni vere se ne intendono, qui vedono soltanto giochi di potere tra opposte fazioni che pur di non far prevalere l’altra parte sono pronti a fare patti col diavolo. E’ per questo che anche Macron, di fatto rilanciato da questo voto (prima era dato per morto), non è atteso da mesi facili. Far nascere un governo di compromesso è una missione difficile in un paese culturalmente articolato e caratterizzato da componenti sociali nettamente alternative e contrapposte che sarà molto difficile far sedere intorno al medesimo tavolo.

Tutto questo è male per la Francia, ma è male per tutti noi europei. Parigi è la sola potenza nucleare del nostro continente. La sua leadership con la Germania, oggi anch’essa in grave difficoltà, è decisiva nella gestone della politica della Nato, una struttura di difesa fondamentale per tutto l’occidente ma oggi ancor più in difficoltà per gli impronosticabili esiti del voto americano. Non solo, una Francia debole altererà anche le scelte che in queste ore si stanno compiendo Bruxelles per decidere i nuovi vertici e le principali posizioni chiave nelle varie commissioni. Vedremo nelle prossime ore e giornate cosa accadrà. La parola compromesso non ha mai avuto vita facile a Parigi e i “governi tecnici”, tanto di moda a Roma, certo ancora non parlano francese. Ma da qualche parte Macron dovrà pur cominciare. Forse gli converrà fare una chiacchierata preventiva con Mario Draghi.

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