Di Annachiara Mottola di Amato
La Tunisia sta attraversando la peggiore crisi economica e politica della storia del Paese dalla caduta del regime autoritario di Ben Ali nel 2011.
Da una parte c’è l’escalation autoritaria del presidente Kais Saied che, dopo il colpo di mano dello scorso luglio, ha deciso di sciogliere il Parlamento. Dall’altra la drammatica situazione socio-economica aggravata, prima dalla pandemia, ora dai pesanti effetti del conflitto russo-ucraino che rischia di causare il tracollo del Paese.
Si tratta di un momento cruciale per le sorti della Tunisia, le due partite per la tenuta della struttura politica ed economica del Paese si giocano sullo stesso tavolo. Per questo è impensabile oggi affermare di poterne vincere una senza preoccuparsi di chiudere anche l’altra, ed è proprio su questo punto che il Presidente rischia di perdere tutto da un momento all’altro.
Lo scorso luglio il primo ministro tunisino Hichem Mechichi è stato destituito per volontà di Saied il quale, contestualmente, ha deciso di sospendere l’attivitàdel Parlamento. A queste decisioni, definite da molti alla stregua di un colpo di stato, è seguito l’accentramento del potere esecutivo e delle competenze legislative nelle mani del Presidente.
Inizialmente questi eventi erano stati accolti positivamente da una parte significativa della società che vedeva nel cambio al potere la possibilità di una svolta e la promessa di un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Lo stesso giorno del colpo di mano di Saied, infatti, la popolazione era scesa nelle strade per protestare contro l’inefficienza dell’azione del governo accusato di essere passivo, corrotto e di non avere come priorità il benessere del Paese. Per questo alla notizia di questi eventi improvvisi, in molti si erano riversati per le strade della capitale per festeggiare. Un po’ semplicemente per la disfatta del governo caduto, un po’ perché, nel dare credito ai proclami populisti di Saied, sentivano di non avere nulla da perdere.
Nei mesi successivi il presidente tunisino ha continuato ad accentuare i caratteri autoritari e antidemocratici della gestione del potere arrivando, a febbraio di quest’anno, a sciogliere anche il Consiglio Superiore della Magistratura, realizzando così il pieno controllo sui tre poteri.
La decisione di sciogliere il Parlamento presa la sera del 30 marzo da Saied arriva, quindi, al culmine di un processo già chiaro e definito nelle sue intenzioni: avere il pieno controllo del sistema istituzionale per potere imprimere al Paese un cambio in una direzione già scelta.
Per il Presidente, infatti, quanto avvenuto finora sarebbe solo la prima prima parte di un piano più grande che vede come tappe successive un referendum popolare nell’estate prossima, nuove elezioni e, infine, la redazione di una nuova Costituzione.
Dallo scorso luglio, però, gli umori di quanti avevano visto con favore l’azione di Saied sono cambiati, dal momento che appare sempre più chiaro come il cambio di guardia non corrisponda a dei miglioramenti concreti nella vita dei cittadini, anzi. L’economia del Paese è appesa a un filo.
Con un rapporto debito pubblico/ PIL nazionale all’80% e tassi di disoccupazione ed inflazione alle stelle, la Tunisia appare sempre più vicina al tracollo. Ad aggravare la situazione è arrivata la guerra in Ucraina che rischia di dare il colpo finale ad un equilibrio socio-economico già fortemente compromesso. La forte dipendenza del Paese, come molti altri del continente africano, dall’Ucraina e dalla Russia per le importazioni di grano e petrolio sta avendo forti ripercussioni sull’economia e ha innalzato i livelli di tensione sociale.
Nelle ultime settimane, infatti, per le strade di tutto il Paese si sono registrate code interminabili fuori dai forni per acquistare il pane, bene che inizia a scarseggiare e i cui prezzi sono saliti alle stelle. La società tunisina è affamata dalla crisi delle importazioni causata dal conflitto in corso e in molti ne stanno approfittando per rivendere i prodotti calmierati a prezzo maggiorato.
Il clima di malcontento monta e in questa urgenza generalizzata il Presidente Saied si sta dimostrando agli occhi del popolo tunisino poco incisivo, causando un netto ridimensionamento della credibilità della sua proposta politica. Nonostante, infatti, la negoziazione di un nuovo prestito con il Fondo Monetario Internazionale il tentativo di arginare la crisi colpendo “i criminali dei monopoli” che sfruttano la crisi in corso per incrementare i propri profitti, l’immagine di Saied è compromessa dalla realtà dei fatti: la società tunisina è allo stremo e la situazione non fa che peggiorare.
Per questo motivo sarà fondamentale vedere come nei prossimi mesi il Presidente deciderà di muoversi, se rifiuterà ogni compromesso o deciderà di fare qualche passo indietro per preservare i fragili equilibri del Paese.